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Il co-marketing è un complesso sistema che consente a diversi soggetti di occuparsi di una specifica fase della distribuzione, potenziando così le proprie peculiarità. Il rapporto di co-marketing si caratterizza per i seguenti elementi: un rapporto di fornitura tra un'impresa produttrice e titolare del know-how e le imprese distributrici; due imprese distributrici, ciascuna delle quali commercializza e promuove lo stesso principio attivo con un marchio e autorizzazioni all'immissione in commercio distinte.
Il rapporto di co-marketing è quindi una strategia di marketing il cui fine è quello di utilizzare le forze di due o più aziende concorrenti per commercializzare un prodotto: esso riguarda soprattutto i rapporti tra imprese farmaceutiche e la brevettabilità dei farmaci. Si può sintetizzare dicendo che il produttore ed i distributori appaiono in maniera distinta al pubblico tuttavia gli stessi soggetti concordano di utilizzare strategie comuni. Nell'ipotesi del sistema farmaceutico elemento essenziale del contratto consiste nel prevedere come più imprese distribuiscano farmaci a base del medesimo principio attivo con denominazioni commerciali diverse.
Gli obiettivi che, in campo farmaceutico, vengono perseguiti con il co-marketing sono il raggiungimento di un maggior numero di medici, il raggiungimento di target specifici di medici e la ripetizione del messaggio che porta a prescrivere la molecola indipendentemente dal marchio che il medico riesce a memorizzare. Questo sistema è però anticoncorrenziale perché, secondo l'Autorità garante, i farmaci oggetto di istruttoria risultavano a totale carico del paziente e, pertanto, la strategia delle imprese di ricorrere allo schema del co-marketing per non utilizzare il prezzo come variabile concorrenziale aveva effetti restrittivi a danno del consumatore con conseguente violazione dell'articolo 2 della legge numero 287/90, e questo si verifica anche in assenza di un patto formulato espressamente in tal senso tra le imprese distributrici. Secondo l'Autorità "è possibile rilevare l'esistenza di un accordo quando le imprese manifestano una comune volontà, anche implicita, di comportarsi sul mercato in un determinato modo. Non è necessario che un accordo sia rappresentato da un vero proprio contratto giuridicamente valido."
Il cash and carry indica invece una particolare forma di vendita all'ingrosso offerta ai dettaglianti che possono scegliere la merce, pagarla e portarla via, sfruttando un sistema di self-service. Questa formula nasce negli Usa e viene esportata in Europa negli anni 60. In estrema sintesi può essere considerata una sorta di “supermercato non destinato ai consumatori” che consente agli acquirenti di rifornirsi nei luoghi di vendita di merci che sono immagazzinate in modo da poter essere ritirate rapidamente dallo stesso cliente, merci presentate in modo rudimentale e pagate in contanti con una notevole riduzione dei costi per il distributore, ma margini di utili inferiori a quelli del commercio all'ingrosso tradizionale.
Il Ministero delle Attività produttive definisce il cash and carry come "esercizio all'ingrosso organizzato a self-service, con superficie di vendita superiore ai 400 metri quadri, nel quale i clienti provvedono al pagamento in contanti, contro emissione immediata di fattura ed al trasporto delle merci." Chi propone merce tramite lo strumento del cash and carry svolge attività di commercio all'ingrosso e deve essere fornito di partita Iva. Secondo l'articolo 4 del d.lgs. n. 114/98 il commercio all'ingrosso è "l'attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all'ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività può assumere la forma di commercio interno, di importazione o di esportazione."
Il commercio all'ingrosso si distingue dal commercio al dettaglio ovvero a quella "attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale." Peraltro, mentre per svolgere l'attività di commercio al dettaglio è necessario disporre di apposita autorizzazione, quest'ultima non è affatto richiesta al grossista. Se il grossista vende beni a chi è privo della qualifica imprenditoriale, questi incorre in una infrazione amministrativa per abusivo esercizio di vendita al minuto, anche quando i via occasionale venda merci a soggetti privi della qualità di "commerciante, grossista, dettagliante, utilizzatore professionale o altro utilizzatore in grande". Il grossista ha il divieto di vendere prodotti che non siano strettamente attinenti all'attività professionale dell'acquirente.
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avv. Nicola Ferrante
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