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Il cash and carry è definito come esercizio all'ingrosso organizzato a self-service, con superficie di vendita superiore a 400 mq, in cui i clienti provvedono al pagamento in contanti, contro emissione immediata di fattura, e al trasporto diretto della merce. Si tratta di una formula di approviggionamento sorta negli Stati Uniti e sviluppatasi poi in Europa partire dagli anni ‘60. L'articolo 2195 del Codice Civile definisce il commercio come "attività intermediaria nella circolazione dei beni" ma il Codice non distingue in alcuna norma il commercio all'ingrosso dal commercio al minuto; le rispettive nozioni devono essere attinte dal diritto pubblico che se ne è occupato specialmente in relazione alle diverse regolamentazioni dei due tipi di esercizi.
Secondo l’art. 4 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 il commercio all'ingrosso è quella "attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all'ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande" mentre il commercio al dettaglio consiste nella "attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende (…) direttamente al consumatore finale". Dunque, il commercio all’ingrosso e al dettaglio possono essere esercitati, indistintamente, da persone fisiche, da persone giuridiche o da enti di fatto ed entrambi consistono in acquisto e vendita di beni. Ingrosso e dettaglio si differenziano solo ed esclusivamente in ragione delle diverse categorie dei rispettivi acquirenti che per il primo sono commercianti, utilizzatori professionali ed utilizzatori in grande, e per l'altro consumatori finali. Mentre il grossista esercita una funzione di tramite fra il produttore ed il dettagliante, il dettagliante si inserisce nella fase di distribuzione capillare dei beni e dei servizi.
Tra i tratti distintivi dei cash and carry rispetto ai grossisti tradizionali vi è l’offerta e l'assortimento di beni eterogenei, fatto che consente all'acquirente di comperare non solo beni strumentali alla propria attività, ma anche altri articoli, al fine di soddisfare le proprie esigenze personali. Ci si chiedeva quindi se costituisse o meno onere del grossista accertarsi non solo che gli atti di acquisto fossero compiuti da soggetti ammessi al canale all'ingrosso, ma anche che i singoli atti fossero funzionali all'esercizio della specifica attività commerciale o professionale svolta all'acquirente o, comunque alle esigenze dell'utilizzatore in grande. La giurisprudenza di merito reagiva osservando che l'onere di verifica imposto sull'esercente del cash and carry non poteva spingersi oltre il controllo formale della legittimazione all'acquisto: onere assolto consentendo l'accesso all'esercizio soltanto ai soggetti accreditati mediante rilascio di una tessera, preceduta dalla verifica documentale dell'appartenenza del richiedente ad una delle tre categorie previste dalla legge. La Corte di Cassazione è pervenuta, dopo varie sentenze di contenuto contrastante, al sostanziale allineamento con la giurisprudenza di merito.
È utile precisare che la vendita di beni effettuata direttamente o indirettamente a consumatori finali, oltre a essere invalida, può anche integrare gli estremi della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c., a maggior ragione quando quest'obiettivo venga raggiunto mediante atti negoziali volti ad aggirare il divieto di vendita diretta al consumo. Ad esempio il grossista può legittimamente commerciare con i cosiddetti "utilizzatori in grande", fra i quali rientrano anche le cooperative di consumo, ma è pur sempre necessario che la vendita sia stipulata direttamente con tali soggetti. Per questa ragione si è ritenuto che contrastasse con l'articolo 2598 c.c. il comportamento dell'esercente di un'attività di cash and carry consistente nel vendere direttamente ai soci di una cooperativa di consumo in forza di una convenzione stipulata con quest'ultima.
Nel caso in cui nella vendita all'ingrosso mediante cash and carry l'acquirente, benché non sia permesso, si approvvigioni anche di beni di consumo personale, si considera che egli agisca sempre e solo quale professionista e quindi non vengono applicate le norme sulla tutela del consumatore. Non si potrebbe sostenere comunque che in questo modo l'acquirente sia privato di tutela: si tratta semplicemente di un riflesso della scelta di acquistare beni di uso personale non mediante l'ordinaria catena distributiva per il consumo, ma in un contesto professionalizzato, scelta che porta all'assunzione di un rischio consistente nella perdita di un profilo di protezione.
avv. Nicola Ferrante
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